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Osteopata o Fisioterapista?

 

 

 

 

Spesso mi viene chiesta la differenza tra un' osteopata e un fisioterapista, anche se entrambe le professioni hanno come obbiettivo la salute del paziente, ci sono delle differenze dal punto di vista di approccio al paziente, percorsi formativi, detraibilità etc. Cercherò di menzionarne le differenze in questo breve articolo (anche se avendo studiato in Inghilterra il mio percorso formativo è stato diverso, sono iscritto al GOsC, l' albo inglese degli osteopati e il mio titolo di studio è un Master di Laurea).

 

Osteopatia e fisioterapia: percorso formativo.

Il fisioterapista per accedere al corso di laurea triennale in fisioterapia deve superare un test a numero chiuso presso un' università di Medicina e Chirurgia. Dopo aver frequentato il corso e superato l' esame di Stato, consegue il titolo di Dottore in Fisioterapia (Riforma Gelmini, 2010). In Italia non c'è un albo.

L'osteopata in Italia accede alla scuola privata di osteopatia (spesso, ma non sempre) dopo aver pagato una retta, senza necessità di superare test d' ammissione. La formazione dura 6 anni part-time (se lo studente ha conseguito precedentemente una laurea in ambito sanitario) o 5 anni full-time (se lo studente ha conseguito il diploma di scuola superiore). Il R.O.I. (Reglistro degli Osteopati d'Italia), monitora i protocolli didattici delle scuole affiliate. Purtroppo in Italia ci sono percorsi di poche settimane a 2 anni, che rilasciano un diploma in osteopatia. L' osteopata al termine del percorso di studio consegue il titolo D.O. (non Dottore) ovvero Diploma di Osteopatia. In Italia non c'è un albo.

 

Osteopata e fisioterapista: approccio al paziente.

Il fisioterapista si serve di posture, massaggi, esercizi e mezzi fisici, quali Tecar, ultrasuoni, TENS o altre terapie strumentali prescritte da un Fisiatra, spesso agendo sulla zona che presenta la sintomatologia, non lavorando però sulle cause che la provocano. Il fisioterapista può lavorare negli ospedali, in uno studio privato o convenzionato.

L' osteopata si serve di tecniche manuali su articolazioni, muscoli, sistema fasciale e viscerale per mantenere  o riportare in equilibrio l'organismo nella sua globalità, solitamente non si serve di terapie strumentali (e non può utilizzarle se non ha conseguito una laurea in fisioterapia!!!). L' osteopata si concentra quindi, soprattutto sulle cause che hanno generato un problema, non si sofferma né si limita alla zona che presenta il problema ma, considerando il corpo umano come una globalità tra organi e struttura osseo articolare, risale alla zona che presenta la causa del problema anche se questo si manifesta in una zona del corpo diversa.

Quando andare dall' osteopata e quando dal fisioterapista?

Il fisioterapista di occupe di elaborare, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione, volto all’individuazione e al superamento del bisogno di salute del disabile, recuperando la funzione persa. N.B. A seguito di interventi chirurgici si deve andare dal fisioterapista (e non dall' osteopata) , il professionista svolgerà in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione. 

L' osteopata si occupa di eliminare quegli “ostacoli” che, instauratisi nel tempo (posture scorrette mantenute a lungo) o a seguito di un importante trauma o di microtraumi ripetuti (ad esempio per sport o per lavori pesanti), determinano la sofferenza dei tessuti e non permettono all’organismo di raggiungere la guarigione.

 

Osteopatia e fisioterapia possono essere portate in detrazione?
L' Agenzia delle Entrate conferma che la fisioterapia può essere portata in detrazione del 19% (Le spese sanitarie nella dichiarazione dei redditi, Agenzia delle Entrate. Giugno 2017.)  mentre per quanto riguarda l'osteopatia nella circolare 11/e del 21/05/2014 – pag. 10 (Circolare dell' Agenzia delle Entrate, 2014), l’Agenzia delle entrate risponde anche al quesito sulla detraibilità delle spese per osteopatia: “Il Ministero della Salute, interpellato al riguardo, ha precisato che a tutt’oggi la figura dell’osteopata non è annoverabile fra le figure sanitarie riconosciute, il cui elenco è disponibile sul sito istituzionale del Ministero stesso. Il predetto Dicastero ha precisato, altresì, che, in attesa di un eventuale riconoscimento normativo, le attività che in altri Paesi sono svolte dall’osteopata afferiscono in Italia alle professioni sanitarie. In considerazione del parere fornito dal Ministero della Salute, si ritiene che le prestazioni rese dagli osteopati non consentano la fruizione della detrazione di cui all’art. 15, comma 1, lett. c), del TUIR, e che le spese per prestazioni di osteopatia, riconducibili alle competenze sanitarie previste per le professioni sanitarie riconosciute, sono detraibili se rese da iscritti a dette professioni sanitarie"(medici, fisioterapisti, etc).

 

 

Dott. Emanuele Luciani  
Osteopatafisioterapista, insegnante di hatha yoga
Iscritto all'albo degli osteopati inglesi (GOsC)
(Numero 8232http://www.osteopathy.org.uk/home/)
Visita presso il "Centro Studi Tre Fontane"
Via Luigi Perna 51, Roma (Zona Eur)
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Le ernie di Schmorl

Le ernie di Schmorl (o Schmorl’s node in inglese) furono descritte per la prima volta nel 1927 dal Dott. Christian George Schmorl, il quale notò una lesione a livello delle vertebre nella zona toraco lombare.
A differenza delle ernie discali che sono orizzontali e possono andare a comprimere radici nervose o il midollo spinale, le ernie di Schmorl sono erniazioni del nucleo polposo verso il corpo vertebrale sopra o sottostante.

Queste ernie sono più frequenti negli uomini che nelle donne e sembra che l'età sia un fattore predisponente all'insorgere di questa condizione.

Raramente causano dolore ma quando sintomatiche sono molto dolorose, causando lombalgie e dorsalgie.

Cause.

Le cause delle ernie di Schmorl non sono ancora ben chiare. Alcuni autori credono sia un patologia degenerativa (1) altri affermano che sia il risultato di patologie che indeboliscono dischi e corpi vertebrali (2), altri teorizzano traumi (3) o implicazioni del sistema immunitario (4).

Fahey et al. le ha trovate sul 10% della popolazione del suo studio e ben il  40% erano motociclisti (5) dovuto forse dai traumi assiali che questi ricevono in caso di cadute.

Osteomalacia, iperparatiroidismo, malattia di Paget, infezioni, tumori e osteoporosi posso indebolire il corpo vertebrale causando le ernie di Schmorl

Diagnosi.

Essendo spesso asintomatiche (non causano dolore), la diagnosi di ernia di Schmorl viene spesso diagnosticata a seguito di una risonanza toracica o lombare.

La risonanza può essere utile per differenziare tra le ernie sintomatiche e asintomatiche, dove si può osservare edema in T2 e bassa intensità del segnale in T1.

Le radiografie sono utili nella fase successiva quando le calcificazioni si sono formate intorno all'ernia.

Trattamento.

Le ernie di Schmorl sono spesso asintomatiche e quando sintomatiche spesso il dolore sparisce spontaneamente o con l'aiuto della terapia conservativa (osteopatia, fisioterapia o chiropratica) ma non esistono trattamenti specifici.

In caso di fallimento della terapia conservatica altre soluzioni verranno valutate dal medico, tra cui  terapia chirurgica o farmacologica.

 

Referenze.

(1) Vertebral end-plate lesions (Schmorl's nodes) in the dorsolumbar spine. Hilton RC, Ball J, Benn RT Ann Rheum Dis. 1976 Apr; 35(2):127-32.

(2) Keyes DC, Compere EL. The normal and pathological physiology of the nucleus pulposus of the intervertebral disc: an anatomical, clinical, and experimental study. J Bone Joint Surg Am. 1932;14:897–938.

(3) The pathogenesis of Schmorl's nodes in relation to acute trauma. An autopsy study. Fahey V, Opeskin K, Silberstein M, Anderson R, Briggs C. Spine (Phila Pa 1976). 1998 Nov 1;23(21):2272-5

(4) Possible key role of immune system in Schmorl's nodes. Zhang N, Li FC, Huang YJ, Teng C, Chen WS Med Hypotheses. 2010 Mar; 74(3):552-4

(5) The pathogenesis of Schmorl's nodes in relation to acute trauma. An autopsy study. Fahey V, Opeskin K, Silberstein M, Anderson R, Briggs CSpine (Phila Pa 1976). 1998 Nov 1;23(21):2272-5.

 

Dott. Emanuele Luciani  
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Anatomia della caviglia

L’articolazione della caviglia (o tibio-tarsica o articolazione tibio-peroneo-astragalica) e’ costituita superiormente dalla tibia e perone e inferiormente dall’ astragalo. Le superfici articolari delle ossa della gamba, ovvero tibia e fibula, formano un incastro a mortaio per la troclea astragalica, quest’ultima e’ fortemente convessa dall’avanti in dietro e presenta una gola centrale e due labbri leggermente convessi. L’unico movimento che consente articolazione tibio-tarsica e’ la flesso-estensione, tuttavia insieme alle altre articolazioni del retropiede realizza una sola articolazione con tre gradi di liberta’.
I movimenti si realizzano attorno a 3 assi principali:
1) Asse trasversale: flessione 20°-30° (o flessione dorsale, avvicina il dorso del piede alla faccia anteriore della gamba) ed estensione 30°-50° (o flessione plantare, allontana il dorso del piede dalla faccia anteriore della gamba).
2) Asse longitudinale della gamba: abduzione (la punta del piede si porte lateralmente) e adduzione (la punta del piede si porta medialmente). Questi movimenti sono effettuati in collaborazione con la rotazione del ginocchio.
3) Asse longitudinale del piede: supinazione e pronazione

LIMITI DELLA FLESSO-ESTENSIONE.
Limiti della flessione:
1) Fattori ossei: la faccia superiore del collo dell’astragalo viene ad urtare contro il margine anteriore della superficie tibiale (in situazioni traumatiche puo’ verificarsi la frattura del collo dell’ astragalo).


2) Fattori capsulo-legamentosi: la parte posteriore della capsula si tende cosi come i fasci posteriori della tibio-tarsica
3) Fattori muscolari: la resistenza indotta dal tono del tricipite

Limiti dell’estesione:
1) Fattori ossei: I tubercoli posteriori dell’astragalo vengono a contatto con il margine posteriore della superficie tibiale
2) Fattori capsulo-legamentosi: La parte anteriore della capsula si tende alla stessa maniera dei fasci anteriori dei legamenti della tibio-tarsica
3) Fattori muscolari: tono dei muscoli flessori

STABILITA’
L’articolazione della caviglia è stabilizzata dalla capsula articolare e dai legamenti, che permettono il movimento e tengono insieme la struttura ossea. La parte fibrosa della capsula articolare si inserisce sui bordi del mortaio tibio-fibulare e della superficie articolare dell’astragalo. E’ sottile in avanti e in dietro mentre e’ ispessita ai lati per la presenza dei legamenti mediali e laterali.
Il legamento collaterale laterale comprende 3 legamenti:
1) Fibulo talare anteriore
2) Fibulo talare posteriore
3) Fibulo calcaneare
Il legamento collaterale mediale (o deltoideo)ha forma triangolare e si distacca dall’apice del malleolo, espandendosi in4 fasci, due anteriori, uno medio e uno posteriore, che rappresentano altrettanti legamenti distinti:
1) Legamento tibio-navicolare
2) Legamento tibio-astragalico anteriore
3) Legamento tibio-astragalico posteriore
4) Legamento tibio-calcaneare

CURIOSITA’
Durante la flessione la parte anteriore della capscula non viene pinzettata perche’ viene stirata dalla tensione dei flessori grazie alle aderenze che essa contrai contro le guaine.
Le ossa della caviglia (in particolare l’astragalo) sono ricoperte più delle altre da cartilagine, proprio per massimizzare la fluidità del movimento. La cartilagine è un tessuto connettivo di sostegno, privo di vasi sanguigni, nel quale la sostanza intercellulare è densa, compatta e consistente; ricopre le articolazioni e molte parti dello scheletro. Negli adulti la cartilagine si trova per lo più nei punti in cui è richiesta resistenza, grande elasticità e mobilità. Di norma, una articolazione sana è formata dalla unione di due ossa le cui estremità sono rivestite di cartilagine: questa fa sì che le ossa nel movimento “scorrano” tra loro quasi senza resistenza. La cartilagine non è rifornita di sangue e non ha capacità riparative, per cui quando si consuma si lesiona con ulcerazioni ed può erodersi fino all’osso sottostante.

L’inversione associa flessione plantare, supinazione e rotazione interna del piede mentre l’eversione associa flessione dorsale, pronazione e rotazione esterna del piede.

Dott. Emanuele Luciani  
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Ernia del disco: cos'è e cosa fare?

 

Tra una vertebra e l'altra della colonna vertebrale vi è una sorta di ammortizzatore chiamato disco intervertebrale, Il disco intervertebrale è costituito da una parte esterna, a forma di anello fibroso, detta "anulus", e da una parte interna, di consistenza molle, costituita per il 90% di acqua, detta "nucleo polposo".
La parte interna ha la funzione di distribuire a tutto il disco le forze che lo sollecitano.

Se tali sollecitazioni sono troppo forti oppure il disco è degenerato (per esempio a causa di una usura eccessiva), può acccadere che l'anello fibroso si "sfianchi" causando una protrusione. Se la sollecitazione continua si può arrivare ad un'espulsione discale, ovvero parte del materiale erniato perde continuità con il nucleo polposo (4 fase).

 

L'ernia discale può verificarsi in qualunque tratto della colonna vertebrale, ma la sua frequenza è nettamente prevalente nel tratto lombare, seguita a notevole distanza dal tratto cervicale. L'ernia dorsale è rara.

Sintomi

I sintomi variano a seconda del segmento interessato dall'ernia e dalla tolleranza al dolore del paziente. Per esempio se localizzata nella zona lombare tra i sintomi possiamo trovare dolore nella parte bassa della schiena che può irradiarsi ad una o entrambe le gambe, dolore nello stare in piedi, sedersi o camminare.

Attività quali piegarsi, girarsi, sedersi o sollevare pese potrebbero aumentare il dolore. Sdraiarsi  a gambe piegate potrebbe essere la posizione più confortevole in quanto diminuisce la pressione  sul disco. Formicolii e senso di addormentamento potrebbero accompagnare il dolore.

Se in aggiunta al dolore si sviluppa una mancanza di controllo del piede o una perdità del controllo intestinale o urinario, è opportuno contattare immediatamente un medico.

Diagnosi

Dopo un'attenta anamnesi il medico potrebbe suggerire di fare uno dei seguenti esami:

.1) Risonanza magnetica. Tramite questo esame non invasivo è possibile valutare se il disco è danneggiato e se è presente una componente compressiva a livello delle radici nervose. Può inoltre valutare la presenza di osteofiti, tumori, ascessi, etc.

2) Tomografia computerizzata: è particolarmente indicata per lo studio delle componenti ossee della colonna vertebrale (patologia degenerativa spondiloartrosica, traumatica con sospette fratture e/o schiacciamenti, fratture patologiche, lesioni primitive o secondarie, angiomi), ma anche dei dischi intervertebrali (protrusioni discali, ernie discali). Minore, rispetto alla risonanza magnetica (RM), è invece la definizione del midollo vertebrale, dei nervi e dei tessuti molli paravertebrali, cioè dei muscoli e dei legamenti.

3) Elettromiografia: valuta la risposta dei muscoli alla stimolazione elettrica utile per la diagnosi delle malattie dei nervi (es. neuropatie) e dei muscoli (es. miopatie). È importante sottolineare che l'elettromiografia è un esame di tipo funzionale, cioè indaga la funzione del nervo o del muscolo. Esami come per esempio la risonanza magnetica, la TAC o l'ecografia sono viceversa esami di tipo morfologico. Questo fa si che possiamo per esempio sapere se un nervo conduce male ed in che punto conduce male, però l'esame non ci dice se il problema è dovuto ad un'infiammazione, ad una compressione, oppure a qualcos'altro. Per questo è importante sapere che l'elettromiografia non sempre è in grado di precisare una diagnosi da sola; in certi casi è necessario eseguire altri esami ad integrazione.

4) Radiografia: l'esame radiografico della colonna vertebrale consente di ottenere immagini del tratto cervicale, dorsale e lombo-sacrale e di identificare alterazioni congenite (scoliosi), acquisite, processi degenerativi o post-traumatici. Non è possibile diagnosticare un'ernia del disco con questo esame.

Trattamento

Il trattamento inizialmente è quasi sempre di tipo conservativo ed include: riposo, medicinali, fisioterapia, osteopatia, chiropratica, esercizi, idroterapia, iniezioni. Circa l' 80% dei pazienti ha un miglioramento entro 6 settimane.

Nel caso in cui il trattamento conservativo non portasse a miglioramenti, il medico potrebbe valutare un approccio di tipo chirurgico.

Recupero e prevenzione

Compito del professionista è educare il paziente ai seguenti punti sotto elencati, anche con utilizzo di immagini e video!!

Il paziente dovrebbe:

mantenere un approccio positivo, una minima attività fisica e un peso nella norma

fare attenzione nel sollevare pesi, nella postura in piedi, seduta, nel dormire e nelle attività di vita quotidiana. 

rinforzare i muscoli (core stability)

 

 

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Può la postura al lavoro causare dolore al collo e mal di testa?

 

La risposta è SI. La maggior parte dei pazienti che lamenta dolore al collo, spalle o mal di testa, passa moltissime ore di fronte al computer, è fondamentale valutare la postura a lavoro in chiave di trattamento e prevenzione. Non c'è trattamento fisioterapico o osteopatico che abbia efficacia nel lungo termine se il paziente non corregge alcune abitudini nella postura di fronte al computer o nell'uso degli smartphone (vedi articolo sul "text neck"), rischiando di conseguenza di ritrovarsi a visitare periodicamente il professionista sanitario.
Quando si è seduti di fronte al computer:

  • la schiena deve essere appoggiata allo schienale
  • gli occhi devono guardare dritti lo schermo
  • gli avambracci devono essere paralleli al pavimento
  • le spalle devono essere rilassate
  • le coscie devono stare parallele al pavimento e i piedi devono poggiare bene sul pavimento o su un poggiapiedi
  • utilizzare un headset invece di reggere il telefono tra spalla e orecchio
  • tastiera e monitor dovrebbero essere regolabili, mentre la sedia dovrebbe essere ergonomica consentendo la regolazione dell'inclinazione dello schienale  (90°-110°) e dell'altezza.

Una tensione  dei muscoli paravertebrali/trapezio/scaleni dovuta alla prolungata inclinazione della testa in avanti può causare dolore al collo, spalle, dorsale o mal di testa.

Tra i mal di testa più comuni troviamo dolori o senso di bruciore nella zona occipitale (dove si inserisce il muscolo trapezio) e nella zona temporale o sopraorbitale (spesso causato da un trigger point di uno dei 3 muscoli scaleni o del trapezio)

Le immagini sotto riportate rappresentano una sintomatologia tipica di chi sviluppa trigger points nei muscoli trapezio o scaleni.

 

Trattamento

L' osteopata o fisioterapista dopo aver fatto una valutazione utilizzerà le tecniche più appropriate per il paziente (ricordo che la tipologia di trattamento e tecniche utilizzate sono diverse da paziente a paziente), tra cui:

  • muscle energy technique
  • tecniche fasciali, viscerali 
  • tecniche strutturali nelle zone con restrizioni
  • trazioni cervicali
  • mobilizzazione passiva/attiva
  • massoterapia
  • dry needling (in Italia effettuato da mano medica)
  • ginnastica posturale
  • esercizi per il diaframma

N.B. È compito del professionista dare al paziente esercizi di allungamento da effettuare a lavoro o a casa e consigli sulla postura per evitare il ripetersi della sintomatologia. Yoga e pilates aiutano a manternere la colonna flessibile. La prevenzione è sempre la chiave!

 

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Dott.Luciani
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